Dare un volto agli attacchi di panico

 



“Mi sento morire…mi manca l’aria…il cuore batte all’impazzata, ho paura di perdere il controllo”.

Queste sono le prime sensazioni che la persona sperimenta.

Nell'attacco di panico a diventare  invalidante è la paura di aver paura, per la quale la persona tende ad evitare tutti i mezzi, luoghi e persone che potrebbero provocargli un attacco.

Generalmente l' attacco di panico si manifesta quando la persona si sente costretto in una certa situazione come la metropolitana,  la macchina, l’aereo, oppure in ambienti aperti in cui non ci si sente al sicuro.

 All' inizio evitare queste situazioni sembra funzionare, poi però quando ci si rende conto che si è limitata la propria vita e che diventano impossibili incontri lavorativi, sociali ecc.. si cerca un primo aiuto psicologico, spesso farmaceutico. L' aiuto farmaceutico, si rivela inefficace, difatti la persona che cerca di sconfiggere la paura diventa  preda dell' ossessione di questa, e il solo farmaco non riesce a riabilitarlo alla vita che conduceva prima che gli attacchi insorgessero.



re  chi ha gli attacchi di panico ?
  
attacchi di panicoChi soffre di attacchi di panico  tende a mostrarci il suo lato forte, ci racconta che nella sua vita non ha mai avuto paura. Ma che da quando ha gli attacchi non esce più come prima, e che si trova in una situazione completamente nuova.
Generalmente l' attacco di panico è il risultato complesso della somatizzazione di un conflitto, impensabile. La persona infatti, non riesce a pensare emozioni e pensieri, sembra che la sua mente galleggi sempre sopra l' emotività, e gli unici pensieri ridondanti diventano quelli legati agli attacchi di panico.
Il lavoro terapeutico aiuta la persona a dialogare con le proprie paure, trovando significati e connessioni, stando nel proprio corpo e mostrandoci quanto possa esserci amico avendoci allerto che qualcosa non andava.
Quando il cliente richiede l’aiuto dello psicologo, tende a non dire, a non esplicitare i bisogni, i motivi e le finalità più autentiche della sua richiesta. Tali aree sottaciute trovano allora proprio nel corpo il loro veicolo di comunicazione privilegiato (Andolfi, 2003).
L' ansia sembra un' emozione indefinita, tanto che è  stata considerata la madre di tutte le emozioni; ad esempio se pensiamo ad eventi piacevoli o spiacevoli possiamo generalmente trovare come preludio a questi: uno stato d' ansia, una speciale tensione emotiva in vista di un evento, che ancora non abbiamo definito e che solo il tempo ci permetterà di inquadrarlo.
 Altre volte, sembra proprio che l' ansia ci serva a tenere lontano una definizione più precisa di quello che pensiamo e sentiamo, in quanto definirlo e definirci vorrebbe dire cambiare, perdere qualcosa, agire in un certo senso.
Pensate ad un bambino, sa questo guidare? andare in luoghi affollati senza sentirsi sperso? prenotarsi visite mediche ed andarci da solo?
La risposta è NO non lo sa fare, sono i genitori che lo accompagnano in questo sviluppo graduale della sua autonomia.

Spesso chi soffre di attacchi di panico sperimenta in età adulta, questo sentirsi improvvisamente bambini, impacciati, e impossibilitati a compiere i gesti più normali.
Compito dello psicologo è prendere per mano questo bambino ed accompagnarlo verso quelle che sono le sue paure dandogli un nome, guardandole, solo cosi attraverso le parole e il loro potente potere di creare significati storia e legami, si costruirà una base sicura interiore alla persona da cui quel bambino impaurito potrà sganciarsi.

Nel fare questo ricordo a tutti  che " niente è mai perso per sempre " anche se si cambia possiamo sempre ritrovare, in forme diverse  i nostri luoghi cari, i modi di essere .
Pensiamo alla nostra stessa crescita: se siamo qui a leggere vuol dire che nessuno ha più 5 anni; ebbene ve li ricordate ? qual' era il vostro piatto preferito ? e cos'è che oggi vi avvicina a quel bambino di 5 anni che siete stato ? 

Qualcuno, lo sentirà molto lontano, altri più vicino e risuonante; ma se solo fossimo abituati ad avere accesso alla nostra parte più fragile e bambina nella nostra quotidianità, a non metterla sempre in un angolo buio e remoto della nostra mente; allora quel bambino avrebbe la possibilità di esistere con noi, nella nostra avventura che si chiama vita e accompagnarci in mille modi diversi. Perché senza di quel bambino siamo noi adulti a sentirci soli.


Dott.ssa Silvia Rotondi
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Ma di cosa soff

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